Differenza tra svezzamento e autosvezzamento
Introduzione
In cosa consiste la differenza tra svezzamento e autosvezzamento?
Ecco un interrogativo tra i più comuni nella mente dei neo genitori.
Per aiutarti a comprendere meglio quello che è un mondo a dir poco affascinante, ho preparato questo contenuto.
Per agevolarne la lettura, ho incluso anche un indice. Grazie ad esso potrai, se vorrai, approfondire le sfaccettature che ti interessano di più semplicemente cliccando sui titoli del paragrafi.
Vuoi ulteriori informazioni? Puoi fare un salto su Instagram sul profilo @drsilva.com_official, ma anche scoprire il mio videocorso verticale “Autosvezzamento pratico, facile e senza stress”, accessibile alla fine di questo paragrafo.
A questo punto, ti auguro una buona lettura!
Cos'è lo svezzamento?
Per avere le idee chiare sulle differenze tra svezzamento e autosvezzamento, è bene soffermarsi innanzitutto sulle peculiarità dei due termini.
Partiamo con “svezzamento”, ricordando innanzitutto che si tratta di un’espressione generica (poi vedremo come mai).
Come specifico anche nel videocorso, quando si parla di svezzamento si indica il processo graduale che porta alla sostituzione dell’alimentazione esclusivamente caratterizzata da latte materno o formulato a un regime che comprende anche l’assunzione di altri alimenti, che possono essere sia liquidi, sia solidi.
Lo svezzamento non serve a “togliere il vizio” del latte.
Il suddetto alimento deve rimanere, almeno per il primo anno di vita, la fonte di nutrimento principale per il piccolo.
Il suo obiettivo non è quello di riempire il bambino con le pappe per eliminare una poppata (solitamente, viene tolta quella dell’ora di pranzo).
Si tratta, invece, del periodo nel corso del quale il latte, sia esso materno o formulato, è affiancato da altri alimenti.
Il percorso è lungo, all’insegna della sperimentazione.
Ricopre un ruolo cruciale per la crescita del piccolo sotto diversi aspetti (quello prettamente nutrizionale è solo uno dei tanti da prendere in considerazione).
Come poco fa ricordato, “svezzamento” è un termine generico.
L’espressione più adatta per definire il percorso in questione è “alimentazione complementare”.
L’aggettivo “complementare” ci ricorda che i cibi solidi, gradualmente, devono andare ad affiancare il latte materno o la formula.

L'alimentazione complementare a richiesta
Anche l’alimentazione complementare, esattamente come l’allattamento, dovrebbe essere a richiesta.
Le due parole “a richiesta” aiutano a capire che deve essere il piccolo a indicare quando ha voglia di mangiare.
Il caregiver adulto non deve somministrargli cibo se non dimostra di avere fame o se, cosa normalissima a 4 – 5 mesi di vita, non ha maturato le competenze giuste (le ho elencate dettagliatamente in questo articolo e ne parlo anche nel videocorso).
“Alimentazione complementare a richiesta” è il miglior sinonimo di “autosvezzamento”.
Chiarito questo fondamentale aspetto, possiamo aprire la parentesi della differenza tecnica tra svezzamento tradizionale e autosvezzamento.
Differenza tra svezzamento tradizionale e autosvezzamento
La differenza tra svezzamento e autosvezzamento è molto semplice.
Nel primo caso, la persona che si occupa del piccolo propone uno schema alimentare a base di pappe.
Queste ultime vengono somministrate a orari regolari e tenendo conto di cronoinserimenti per quanto riguarda l’inclusione dei vari nutrienti nella routine.
Si parte quasi sempre con pappa a base di brodo vegetale (fatto con carote, patate e zucchine), con l’aggiunta di crema di riso o di mais e tapioca.
Da non dimenticare è il classico cucchiaino d’olio, per non parlare dell’omogeneizzato.
Come sopra specificato, lo svezzamento tradizionale prevede il ricorso ai cronoinserimenti.
Ciò vuol dire che alimenti come le uova, i pomodori e le fragole vengono introdotti attorno al compimento del primo anno di vita.
Si ha quindi a che fare con un approccio ai cibi diversi dal latte totalmente guidato e gestito dall’adulto.
Lo svezzamento tradizionale viene frequentemente iniziato a 6 mesi esatti – spesso molto prima, anche a 4 o 5 – senza tenere conto dei tempi di maturazione corretti e dell’unicità del bambino.
Come ho specificato all’inizio dell’articolo, chi intraprende la strada dello svezzamento tradizionale tende a sostituire con la pappa una poppata intera, quasi sempre quella che il neonato richiede attorno all’ora di pranzo.
Quando si sceglie lo svezzamento tradizionale, si tende a ricorrere a pappe, omogeneizzati e altri prodotti di baby food.
Ciò accade perché spesso non si hanno altre alternative.
A quattro mesi, infatti, il cucciolo non ha i requisiti che gli permettono di gestire consistenze diverse.
L’autosvezzamento, invece, è un modo di approcciarsi all’alimentazione complementare che vede il neonato assoluto protagonista.
Baby-led weaning: svezzamento guidato dal bambino.
L’espressione anglosassone è chiarissima e di grande aiuto. Permette, infatti, di capire bene quali sono i compiti dell’adulto.
Il caregiver del neonato in autosvezzamento ha un ruolo marginale.
Come sottolineo nel videocorso, deve limitarsi a osservare e ad attendere che arrivi il momento in cui il bambino è pronto alla gestione di cibi solidi.
Fiducia, supervisione, attenzione nel proporre un’alimentazione sana e variegata: ecco i compiti dell’adulto che si rapporta al neonato in autosvezzamento.
Da non trascurare è ovviamente il fatto di proporre cibi tagliati in sicurezza e con consistenze adeguate (nel videocorso trovi l’atlante completo dei tagli sicuri).

Autosvezzamento e linee guida scientifiche
Negli ultimi anni, di autosvezzamento, per fortuna, si parla molto.
Nonostante questo, però, c’è ancora della strada da fare: sono infatti tanti i genitori che, non avendo sufficienti informazioni o avendone di superficiali, pensano che sia una scelta strampalata.
Non è affatto vero! L’autosvezzamento, la cui fama in Italia si deve al pediatra Lucio Piermarini e al suo libro Io Mi Svezzo da Solo, è quello che le linee guida scientifiche raccomandano per l’alimentazione complementare dei più piccoli.
Non prevede, ribadisco, tabelle temporali rigide e ricorso al baby food.
Il mondo dell’alimentazione complementare a richiesta presuppone che i genitori seguano un’alimentazione sana, che padroneggino i tagli sicuri e che abbiano idea di come proporre un pasto bilanciato al proprio bimbo.
Il cucciolo, in questi casi, non avrà problemi nel consumare i medesimi cibi che mangiano mamma e papà.
Si parte con piccoli assaggi durante i pasti di famiglia – sottolineo ancora una volta che si parla di alimentazione complementare e che il latte deve rimanere l’alimento principale – aumentandoli gradualmente fino ad arrivare al pasto completo.
Alla base di tutto deve esserci anche la maturazione del sistema intestinale del piccolo e il possesso delle competenze psicomotorie necessarie alla gestione dei cibi solidi.
Quali sono?
- perdita del riflesso di estrusione, grazie al quale il neonato tira fuori la lingua per iniziare il movimento di suzione del capezzolo o della tettarella e per evitare, nel contempo, che gli entrino corpi estranei in bocca;
- padronanza della presa palmare;
- capacità di stare seduto con l’ausilio di pochi supporti e senza stare troppo gobbo;
- interesse chiaro per il cibo consumato dagli adulti.
Come ricordato dall’OMS e dalle principali associazioni pediatriche mondiali, queste competenze vengono raggiunte attorno ai 6 mesi.
Attenzione: ciò non vuol dire che se un neonato le matura a 7 ci siano problemi!
Ogni cucciolo è unico e fa storia a sé. Lo spartiacque dei 6 mesi è infatti un riferimento di massima.