Introduzione
Storia dello svezzamento: ti sei mai fatto domande in merito? Se la risposta è affermativa, questo articolo fa per te.
Sì, si tratta di un contenuto un po’ diverso rispetto a quelli che solitamente pubblico, ma penso possa essere interessante capire come è cambiato, nel corso dei tempo, l’approccio all’alimentazione complementare.
Come vedi, è presente un indice, inserito per darti modo, se vorrai, di approfondire tutte le sfaccettature del tema semplicemente cliccando sui titoli dei paragrafi.
Per una visione completa e agile sull’autosvezzamento, ti invito a scoprire il mio videocorso verticale “Autosvezzamento pratico, facile e senza stress” accessibile alla fine del paragrafo.
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Allattamento al seno: quanto durava nei secoli passati?
Prima di entrare nel vivo della storia dello svezzamento, è opportuno fare il punto della situazione sulla durata dell’allattamento al seno nei secoli passati.
Oggi, come ben si sa, l’OMS raccomanda di portarlo avanti in maniera esclusiva per i primi sei mesi di vita del neonato.
Un approccio non molto diverso veniva concretizzato nell’antica Grecia. Le balie, come evidenziato da questo lavoro scientifico condotto presso l’Università di Lille, avevano infatti l’abitudine di allattare al seno i neonati in maniera esclusiva per i primi sei mesi di vita, dando il via successivamente all’alimentazione complementare.
Ai tempi degli antichi Egizi, invece, l’allattamento al seno durava fino ai tre anni del bambino.
Nel Talmud ebraico, si raccomandava di proseguire con l’allattamento materno esclusivo fino ai 2 – 5 anni.
Nel Corano, invece, di andare avanti fino al primo biennio.
Dopo un generale buio sul tema per tutto il Medioevo, è stato possibile tornare a parlare di testimonianze sull’allattamento al seno nel XVI grazie agli studi del chirurgo francese Jacques Guillemeau, celebre per la pubblicazione, risalente al 1609, del trattato De l’heureux accouchement des femmes, incentrato sul parto podalico.
Secondo il suo punto di vista teorico – ovviamente superato – il momento ideale per iniziare l’allattamento è dopo il compimento del primo mese di vita.
A suo dire, invece, per partire con lo svezzamento bisognava attendere l’eruzione dei primi dentini.

La storia delle prime pappe
Raccontare la storia dello svezzamento vuol dire innanzitutto rammentare che, prima del XVIII secolo, non esistevano indicazioni mediche ufficiali relative all’inizio dell’alimentazione complementare.
Si raccomandava, con consigli pratici non inclusi in trattati medici, di cominciarla dopo l’eruzione dei primi dentini, meglio se in primavera.
Si partiva con pappe preparate bollendo acqua e latte, meglio se di capra, e aggiungendo vino annacquato o birra.
Il pasto veniva aromatizzato con succo a base di uva sultanina, calendula, zafferano (giusto per citare alcuni dei tanti aromi impiegati in cucina nei secoli passati).
Oltre a questa versione semplice della pappa, veniva proposto anche un mix denso, conosciuto come panada o panadella, a base di farina, pane, burro, brodo di carne, latte e, in alcuni casi, tuorlo d’uovo.
Nel tempo, questi schemi sono stati chiaramente interessati da forti cambiamenti.
Decisiva a tal proposito è stata la scoperta – che oggi può sembrarci banale, ma che in passato non lo era affatto – del legame tra problemi gastrointestinali nei bambini e scarsa igiene.
Per lungo tempo, infatti, si è creduto che i primi fossero causati dalla dentizione.
I primi prodotti di baby food
Proseguendo con le tappe fondamentali della storia dello svezzamento, non si possono non citare due momenti di svolta: il 1865, anno in cui è stata lanciata sul mercato la zuppa di malto, frutto degli studi del chimico Justus von Liebig, e il 1867, data di immissione in commercio della farina lattea, tra i più celebri prodotti di Nestlé.
Questi alimenti, ancora oggi, vengono considerati come i primi esempi di baby food moderno.
Doveroso è ricordare che, in quel periodo, l’alimentazione dei più piccoli era all’insegna degli squilibri nutrizionali, che causavano spesso problemi di salute seri, finanche mortali.
Alla metà del XIX secolo risalgono anche i primi tentativi di modificare il latte animale in modo da renderlo adatto all’alimentazione dei più piccoli.
Si può parlare, però, anche di un altro fenomeno importante, ossia la tendenza, da parte delle donne, a vivere una riappropriazione del corpo attraverso l’allattamento naturale e del ruolo educativo di madri.

L'invenzione e l'utilizzo degli omogeneizzati
Un capitolo molto importante nella storia dello svezzamento riguarda gli omogeneizzati.
Prodotti ottenuti grazie a procedimenti specifici che permettono il passaggio da una miscela dall’eterogeneità all’omogeneità – da qui il loro nome – sono stati inventati in Francia.
Tutto è partito nel 1899 quando il francese Gaulin inventò l’omogeneizzatore, elaborato con lo scopo di lavorare il latte per ricavare il burro.
Presentato per la prima volta al pubblico nel 1900 in occasione dell’Esposizione di Parigi, ha fatto da apripista all’impiego degli omogeneizzati prima di tutto nelle diete dei pazienti con patologie all’apparato digerente – siamo negli anni ‘30 – e, successivamente, nell’alimentazione dei più piccoli.
Il loro utilizzo nella seconda situazione ha iniziato a prendere piede dagli anni ‘60, un periodo caratterizzato dalla tendenza, oggi per fortuna superata, di svezzare i neonati attorno ai 2 – 3 mesi.
Nel periodo del boom economico, dopo una lunga parentesi all’insegna dello svezzamento tardivo, è stato infatti possibile assistere al trend appena menzionato e all’inizio dell’alimentazione complementare a un’età in cui il neonato non ha maturato i requisiti psicofisici e ha un apparato digerente non pronto.

I primordi dell'autosvezzamento e l'esperimento di Clara Davis
Arriviamo ora al focus sull’autosvezzamento.
Quando si parla di alimentazione complementare a richiesta e del suo percorso, non si può non citare il libro Io mi Svezzo da Solo! Dialoghi sullo Svezzamento, scritto dal pediatra umbro Lucio Piermarini, volume uscito nel 2008.
Si tratta, a ragione, di una vera e propria bibbia dell’alimentazione infantile.
Molto prima del lavoro di Piermarini, in questo campo ha fatto la storia l’esperimento della ricercatrice statunitense Clara Davis.
Nel 1928, con l’intenzione di intervenire, risolvendoli, su quadri di inappetenza dei più piccoli, decise di capire se, all’età di sei mesi circa, i bambini fossero capaci di scegliere in maniera autonoma gli alimenti da mangiare, focalizzandosi sui più sani.
Per il suo esperimento utilizzò 32 cibi diversi di origine sia animale, sia vegetale. Si focalizzò su alimenti crudi e cotti, serviti ciascuno su un piatto diverso.
I bambini, davanti alle tavole imbandite, manifestavano interesse sia per i cibi, sia per le suppellettili.
A seguito della manifestazione di interesse, gli studiosi incaricati di gestire l’esperimento offrivano il cibo ai bimbi, attenendosi ai loro desideri.
Portato avanti per 6 anni, l’esperimento di Clara Davis ha portato alla raccolta di dati su 36.000 pasti.
I bambini coinvolti, come sottolineato dalla ricercatrice stessa nelle conclusioni del suo lavoro, sono tutti cresciuti in maniera corretta.
